ANNA KARENINA di Tolstoj
Sull’onda di un bel monologo, magnificamente recitato da Sonia Bergamasco dal titolo “Karenina”, ho avuto voglia di riprendere in mano il romanzo di Tolstoj.
Ricordavo la storia di una donna travolta da passione per un uomo più giovane del marito, per il quale abbandona la famiglia per poi ritrovarsi sola e disperata. Ricordavo che il giovane amante avesse smesso di amarla. Da lì il suicidio.
Non è esattamente così. La storia è molto più complessa. C’è anzitutto l’affresco di un’epoca, quella della seconda metà del 1800 nella Russia degli zar. C’è una donna perfettamente inserita nella società del tempo, che cede man mano all’ideale dell’amore romantico diventando insofferente e poi ribelle alle regole
della società a cui appartiene. L’evoluzione del personaggio è lenta e inesorabile.
Il comportamento delle persone che la circondano non è determinante. E’ lei stessa a cambiare nel tempo (ed è così che succede nella vita reale) e a prendere coscienza che quella vita che ha scelto le sta diventando insopportabile. Il suo amante continua in realtà ad amarla fino alla fine e oltre, ma lei diventa sempre più insicura, sospettosa, infelice.
Dostoevskij a suo tempo scrisse: “Anna Karenina è una cosa perfetta come un’opera d’arte e nulla nelle attuali letterature europee può esserle paragonato”. Tolstoj disse: – Anna è degna di pietà ma non colpevole -, eppure sappiamo quanto
fosse moralista e conservatore. Ma siccome era un grande scrittore lasciò che il suo personaggio seguisse il suo destino naturale, cioè poetico. Il suicidio non appare come la punizione per scelte sbagliate ma piuttosto come l’epilogo inevitabile di ragioni emotive e sociali.
Anna avrebbe voluto essere libera ma non era possibile esserlo in quel tempo e in quella società. Il suo è un grido che giunge fino a noi per interrogarci su chi siamo, cosa vogliamo e sul rapporto imprescindibile con il contesto socio – culturale in cui ci ritroviamo a vivere.
Carmen