Quella volta che Lucio ci portò da Pino a mangiare il gelato
Amo Bologna, per i ricordi che mi legano a lei, per gli amori vissuti, per le chiacchierate con gli amici, per la vecchia e brulicante zona universitaria dove ho trascorso la mia vita da studentessa nel lontano 68. L’amo per i suoi portici, per l’incanto delle case di mattoni rossi, per le sue piazze dove è bello perdersi in ogni stagione, nelle afose sere estive come nelle lunghe e fredde giornate invernali. E ancora l’amo per le sue osterie, in modo particolare l’osteria “delle Dame”, locale storico, fumoso, pieno di muffa e di chiacchiere, frequentato da tutti i più famosi artisti bolognesi dell’epoca, Guccini, Dalla, Lolli.
Grande luogo di incontri Bologna e di gente simpatica, credo di aver conosciuto più persone in questa città che in tutto il resto della mia vita.
E fu proprio in una sera di giugno, una sera di caldo insopportabile che feci la conoscenza di Lucio Dalla.
Ero uscita con un’amica, tutte e due spinte dalla tentazione estiva per eccellenza: il gelato. Destinazione “da Pino”, la gelateria più frequentata della città, zona porta Castiglione nei pressi dei giardini Margherita.
Ho il ricordo netto di noi due che stiamo percorrendo Strada Maggiore, siamo sotto i portici quando veniamo affiancate da una porsche di colore azzurro. Penso che fu proprio “la curiosità per gli altri , per la vita degli altri” che quella sera lo spinse a fermarsi e a chiedere a due ragazze sconosciute dove stessero andando e a invitarci a salire con lui per portarci alla meta. E noi incredule e stupefatte di fronte a questo piccolo uomo che con la naturalezza di un amico voleva sapere dei nostri studi, dei nostri progetti, dei nostri gusti musicali. Fu sorprendente vederlo in un attimo attorniato da tanti giovani e concedersi senza snobbismo a tutti, cosa piuttosto rara per un artista.
Fu l’incontro di una serata, ma rimase una serata di forti emozioni.
Ora che non c’è più, anch’io come tanti mi sono lasciata trascinare dai ricordi e ho rivisto la mia vita attraverso le sue canzoni.
“Il cielo”, mi rivedo per le strade di Bologna a cercare sui portoni delle case i cartelli di affittasi per trovare un appartamento o nei bar dell’Università dove dai juke-box uscivano le note di questa canzone. “Piazza grande”, chi non conosce Bologna non sa cosa può significare l’incanto di questa piazza al tramonto o nelle tiepide sere di primavera. C’è tanto in questo testo, la magia del luogo e delle parole ( ma la mia vita non la cambierò mai mai, a modo mio quel che sono l’ho voluto io) che ci facevano sentire forti, padroni delle nostre scelte e del nostro futuro, forse anche troppo, perché, per citare una canzone di Guccini , “A vent’anni si è stupidi davvero”. “Com’è profondo il mare” profetica e bellissima, una canzone che pone mille interrogativi. Ascoltando “Cosa sarà che ci fa morire a vent’anni anche se vivi fino a cento” giuravo che a me non sarebbe mai successo perché io la vita l’avrei esplorata senza mai annoiarmi.
Parole che diventavano meravigliose melodie, poesie sonore che sapevano scuotere gli ingranaggi della nostra esistenza.
Michele Serra cogliendo la grandezza dell’uomo dice “Uno come Dalla , ha avuto il rarissimo talento di riuscire a essere alto e basso , colto e popolare , sperimentale e classico, difficile e facile come nessun altro”.
Lui se n’è andato da dieci anni, ma per fortuna rimangono le sue canzoni indimenticabili a tenerci compagnia.
Laura