di Luc Besson
Il film “The lady” è la biografia di Aung San Suu Kyi: premio Nobel per la pace nel 1991, indomita combattente indocinese, simbolo della resistenza pacifica all’oppressione del potere, icona internazionale della non violenza, paladina della National League for Democracy.
Il film è interpretato da Michelle Yeohn, nel ruolo protagonista, molto somigliante all’originale e che si esprime in lingua locale nei discorsi pubblici.
Figlia di uno degli artefici dell’indipendenza birmana dal Regno Unito, assassinato nel 1947 da avversari politici, Aung studia e mette su famiglia in Inghilterra.
Tornata in patria per assistere la madre ammalata, è testimone delle brutali repressioni studentesche nel passaggi da una giunta militare all’altra e si fa coinvolgere nel processo politico per la riaffermazione della democrazia.
Quello che, secondo me, il film ha saputo trasmettere è stata la straordinaria capacità carismatica di Aung, in grado di galvanizzare -con la sola presenza – i suoi connazionali, da qui l’appellativo di “orchidea d’acciaio”.
Quello che ho apprezzato del film è stato che gli eventi internazionali – l’inutile vittoria elettorale, l’estenuante ventennale detenzione ai domiciliari tra fiori e filo spinato, l’isolamento famigliare, il premio Nobel -sono narrati attraverso l’intimo rapporto con il marito britannico Michael Aris (interpretato da un ottimo, David Thewlis) e con i figli adolescenti, che non le fanno mai mancare sostegno morale.
Quello che ho imparato dal film è stata la storia di una grande donna e della sua famiglia, che hanno lottato, all’insegna dei diritti civili e del sacrificio personale, per un ideale nobile.
La regia mi è parsa onesta e accorta: la ricostruzione meticolosa della sua abitazione e la scelta di utilizzare la lingua locale conferiscono autenticità alla vicenda.
Ho colto solo qualche momento di stanca nel racconto cinematografico, che si ferma a una decina di anni fa, e forse qualche didascalismo di troppo.
Per il resto, emozioni e occhi lucidi.
Marta